Rivisitazioni
Marina Pizziolo

"Il pittore non deve dipingere quello che si vede, ma quello che si vedrà". Questa frase di Paul Valery, scelta da Sassu per la quarta di copertina della sua autobiografia, torna spesso nelle argomentazioni estetiche dell'artista quale summa della sua intenzionalità poetica. E nelle parole di Valery, in effetti, è possibile scorgere la trama di un'invenzione artistica che nell'arco di settant'anni ha saputo esprimersi secondo varie cadenze, ma sempre come ostinata, appassionata difesa della persistenza dell'immagine. "lo sono contro tutte le forme d'arte alla Piero Manzoni", ha detto Sassu, "perché sono la negazione dell'uomo, il riflesso di questa civiltà in cui si sono tradite tutte le ansie e i tormenti della mia generazione". La necessità di dissolvere l'immagine per rinnovare l'esperienza del vedere è priva di fondatezza estetica, " giacchè la negazione della visione naturale della realtà " non può essere secondo l'artista "un passaporto per uscire dall'ordine reale delle cose". Eppure, nella sua lunga ricerca, Sassu non si è limitato a ripercorrere le forme del visibile, ma ha saputo trovare il modo per assegnare una forma reale a intuizioni che muovevano dal territorio del mito, della storia o semplicemente del sogno. Il suo intento di indagare le forme della realtà non è mai stato didascalico, ma si è sempre espresso come intuizione estetica di una diversa possibilità del visibile.

Dopo aver ripercorso la partitura di questa lunga sinfonia visiva che è l'opera di Sassu, quella che emerge è l'immagine di un artista che ha saputo mantenere uno stretto contatto con il tempo che gli è toccato di vivere e che ha saputo trovare di volta in volta le parole per parlare ed essere inteso. Il filo conduttore di questa tesa visionarietà del reale, quello che impedisce a questa complessa partitura di disgregarsi in un mosaico incoerente di immagini, non è solo l'intenzionalità estetica che presiede al segno, ma anche il tono del discorso pittorico: il colore. […]

Sassu non ha mai considerato i vari cicli della sua produzione dei cicli chiusi, circoscritti a una ben determinata datazione. E questo perché l'invenzione poetica da cui scaturivano ha sempre ubbidito non all'astratta esigenza di un rinnovamento del codice linguistico, ma all'urgenza di esprimere una determinata mozione ideale. È questo il motivo dei ritorni di Sassu, delle sue continue riprese di moduli espressivi o di contesti narrativi in anni lontani dalla loro prima elaborazione. Le opere che nascono da queste rivisitazioni, al di là della loro qualità estetica, rivestono un particolare interesse critico, in quanto rappresentano spesso l'esito di inevitabili contaminazioni stilistiche.

La terre est bleu comme une orange con il concitato dinamismo del suo disegno curvilineo affonda, ad esempio, le sue radici nella stagione futurista, rivisitata alla luce di modi cubisteggianti. Il verso di Eluard scelto per il titolo guida all'interpretazione di questa provocazione poetica. "Non mi interessa la rappresentazione dinamica, quanto la persistenza di certe strutture che son tutte interiori, fatte dal colore", spiega Sassu. "Insomma inventare la pittura, come Eluard ha dato un significato a un contenuto, a un'immagine contraddittoria, evocativa di un altro mondo, un mondo non contestabile, quello della poesia". Blu come un'arancia.

Altre opere, da La strada gialla a Il caffè rosa, dichiarano invece il perdurare dell'interesse di Sassu per quella sorta di palcoscenico esistenziale che i luoghi pubblici hanno sempre rappresentato nel suo immaginario. […]

Aligi Sassu Antologica 1927-1999, a cura di  Marina Pizziolo con la collaborazione di Carlos Julio Sassu Suarez, Skira, Milano,1999.